Vino

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Passeggiando nella Valle dei Laghi, nella Valle di Cavedine, nell’Alto Garda e sui terrazzamenti di Tenno è facile imbattersi in vigneti e colline vitate. Il particolare microclima e l’influsso dell’Òra – il vento che ogni pomeriggio soffia da sud verso nord – fanno di queste zone delle aree tradizionalmente vocate alla viticoltura. Terra di distillerie e aziende vinicole, qui si coltivano sia varietà bianche che rosse, internazionali ed autoctone.

Negli ultimi anni, soprattutto grazie all’introduzione di vitigni resistenti, nel Garda Trentino la viticoltura sta vivendo un periodo di crescita. I vitigni resistenti richiedono meno trattamenti fitosanitari, rendendoli più adatti alle zone adiacenti ai centri abitati e ai parchi e comportando un notevole risparmio economico. Inoltre, l’utilizzo di vitigni resistenti contribuisce a salvaguardare la coltivazione della vite anche in zone più remote, preservando così l’ecosistema agricolo.

 

I vitigni autoctoni del Garda Trentino

Nosiola

È l’unico vitigno autoctono di bacca bianca sopravvissuto alla ricostruzione viticola post-fillossera*. Le zone tipiche di produzione sono la Vallagarina e la Valle dei Laghi, dove è utilizzato anche per la produzione del tradizionale Vino Santo Trentino DOC. Il vino bianco che se ne ricava stupisce per la sua versatilità: ottimo l’abbinamento con i piatti a base di pesce di acqua dolce, le minestre di verdure e le carni bianche.

Il nome di questo vitigno ricorda la nocciola. Di fatto, nella versione tradizionale è proprio il sentore del frutto acerbo del nocciolo selvatico a emergere all’assaggio.

*A partire dal 1870 si diffonde in tutta Europa la filossera, un afide giunto dall’America attraverso i commerci transoceanici che danneggia le radici della vite europea provocandone in breve tempo la morte. Seguono numerosi tentativi per arginare questa piaga, tra cui la creazione di ibridi fra la vite americana e quella europea.

Marzemino

Conosciuto nella zona di Rovereto fin dai tempi della Serenissima, oggi è coltivato nella zona ben delimitata della Vallagarina. Il vino ottenuto da questo vitigno del Trentino ha un colore rosso rubino, un profumo che richiama la violetta, un gusto di medio corpo, pieno ed equilibrato e una lunga persistenza. Si abbina bene ai salumi e alle salsicce del territorio, alla polenta con i funghi, agli arrosti di carni bianche e di maiale e ai formaggi stagionati.

Teroldego

Prima DOC varietale riconosciuta in Trentino nel 1971, il Teroldego è presente tra le valli trentine già dal 1300. Oggi quello che in molti definiscono il “vino principe del Trentino” è il vino simbolo della provincia.

Il vino che si ricava da questo vitigno autoctono profuma di mora selvatica, mirtillo, lampone e viola, con accenni di menta. Per il suo colore rosso dalla tonalità purpurea tra i più scuri al mondo, la leggenda lo paragona al colore del sangue di drago.

Rebo

Con l’intento di sostituire il Merlot nelle zone climaticamente meno adatte alla coltivazione di questo vitigno, nella prima metà del Novecento Rebo Rigotti – ricercatore della Stazione sperimentale dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige – dopo una lunga sperimentazione crea un nuovo vitigno: il Rebo, un incrocio tra Teroldego e Merlot. La diffusione del Rebo è partita proprio dalla zona d’origine, ovvero il territorio che si estende tra la Valle dei Laghi e le colline trentine, dove le temperature miti, l’acqua del lago e la buona ventilazione danno vita a un microclima ideale per la coltivazione della vite.

La colorazione tipica di questo vino è il classico rosso rubino brillante. Al naso rivela sentori di ciliegia, prugna, ribes, mora e una lieve nota speziata ed erbacea. Al gusto si presenta caldo e morbido. Il Rebo si abbina bene alle carni rosse, alle costate di manzo, alle grigliate e alle costolette di agnello.

Trentodoc

Corre l’anno 1902 quando Giulio Ferrari, enologo dell’Istituto Agrario San Michele all’Adige – ora Fondazione Mach –, nota una spiccata somiglianza orografica e climatica fra la Champagne e il Trentino. È proprio questa scoperta a spingere sempre più viticoltori ad adottare il processo di spumantizzazione.

Nel 1993, grazie agli sviluppi della viticoltura trentina e al continuo supporto della Fondazione Mach, il metodo classico ottiene il riconoscimento della DOC Trento – un’importante certificazione che garantisce la qualità del processo di produzione e l’origine del prodotto.

Metodo classico e metodo Charmat a confronto

I principali metodi di produzione dello spumante sono due: il metodo Charmat (o metodo Martinotti), adottato per la produzione di Prosecco, e il metodo classico, nato in Francia nella regione nota come Champagne e sapientemente trapiantato in Trentino agli inizi del Novecento.

I due metodi si differenziano per la tecnica di rifermentazione utilizzata. Nel primo caso la seconda fermentazione avviene in autoclavi di acciaio, a temperatura e pressione controllate, con l’aggiunta di lieviti e zucchero. Nel caso del metodo classico, invece, la seconda fermentazione – e quindi la spumantizzazione – avviene direttamente in bottiglia e richiede tempi più lunghi.

Il disciplinare indica i tempi di maturazione minimi di un Trentodoc sui lieviti: si va dai 15 mesi per un senza annata, a 24 mesi per un millesimato fino a 36 mesi per una riserva.

Il metodo classico Trentodoc

Le fasi di produzione del Trentodoc metodo classico sono quattro:

  • Dalla vendemmia di uve Chardonnay, Pinot nero, Pinot bianco o Meunier, si ottiene il vino fermo base al quale, una volta imbottigliato, vengono aggiunti i lieviti e gli zuccheri.
  • Con la produzione di anidride carbonica e alcol etilico, il vino base messo a riposo nelle cantine dà il via alla seconda fermentazione. È proprio all’anidride carbonica a cui si deve il perlage, ossia le bollicine che si formano versando Trentodoc.
  • L’operazione nota come remuage è la fase più caratteristica del metodo classico: lo scopo è raccogliere i sedimenti nel collo della bottiglia per poterli poi eliminare con la sboccatura.
  • Dopo il riposo a testa in giù su pupitres – dove avviene la rotazione delle bottiglie che favorisce il deposito dei lieviti esausti sul tappo – è necessario procedere all’eliminazione dei sedimenti. Questo avviene tramite la sboccatura, che può essere manuale o meccanica. Il vino estratto viene sostituito con vino invecchiato in barrique, zucchero di canna, acquavite o altri distillati. Tale mix viene chiamato liqueur d’expedition e può avere gradi diversi di dosaggio degli zuccheri.
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